acque agitate on Nostr: Il nostro sogno di una Siria libera da Assad è tornato con l’avanzata dei ribelli ...
Il nostro sogno di una Siria libera da Assad è tornato con l’avanzata dei ribelli di Aleppo – di Leila al-Shami
L’articolo è stato pubblicato originariamente il 2 dicembre su «The New Arab», lo ripubblico qui sopra col consenso dell’autrice e traduzione mia (i link che trovate nel testo sono quelli dell’articolo originale). Gli eventi si sono svolti molto rapidamente e alcune cose possono già apparire datate (i ribelli di Aleppo sono già arrivati a Homs a questo punto), ma credo che sia ancora interessante e molto importante da leggere, se non altro per capire il sentimento delle siriane e dei siriani di fronte a quello che sta accadendo in questi giorni, alla possibile cacciata di Assad da parte di un gruppo islamista, un sentimento che a orecchi occidentali distratti o troppo impegnati ad ascoltare le sirene delle teorie cospirative o geopolitiche può apparire strano, ma che strano non è affatto.
Otto anni dopo che Aleppo è stata sottoposta a un brutale assedio per fame, bombardata dal regime di Assad, dalle bombe russe e iraniane e migliaia di abitanti sono stati massacrati o sfollati con la forza, la bandiera della Siria Libera sventola sulla cittadella.
L’avanzata dei ribelli e il conseguente sgretolamento delle forze del regime hanno colto tutti di sorpresa, cambiando rapidamente la mappa del potere nel nord della Siria, che era rimasta in gran parte congelata dopo gli accordi di condivisione del potere del 2020 tra Russia, Turchia e Iran.
In pochi giorni Aleppo e la provincia di Idlib sono passate sotto il controllo dei gruppi ribelli dominati da Hayat Tahrir Al-Sham (HTS).
Nel frattempo, l’Esercito nazionale siriano, sostenuto dalla Turchia, ha lanciato un’offensiva a Tel Rifaat e dintorni, territorio sotto il controllo delle Forze democratiche siriane a guida curda e sostenute dagli Stati Uniti.
Sono stati segnalati scontri tra le fazioni dell’opposizione e il regime nella provincia meridionale di Daraa, mentre a Suwayda, dominata dai drusi, si sono tenute manifestazioni popolari a sostegno dei siriani del nord.
I siriani all’interno del Paese e all’estero sono stati colti di sorpresa. Molti hanno festeggiato, trattenendo il fiato, senza osare sperare che questo potesse segnare la fine del regime.
Per anni Assad ha violentato, torturato, affamato, bombardato e gassato la popolazione fino a sottometterla. È stato mantenuto al potere grazie al sostegno e alle bombe straniere. Ma oggi la Russia è impantanata in Ucraina e le infrastrutture militari iraniane in Siria (compreso il suo proxy Hezbollah) sono state decimate dagli attacchi israeliani.
Negli ultimi giorni, Assad, isolato e senza dubbio in preda al panico, ha chiesto freneticamente sostegno ai suoi alleati del Golfo.
Al contrario, i ribelli, approfittando di questo momento di debolezza, sembrano più forti e uniti che mai, utilizzando nuovi armamenti per droni e catturando depositi di armi dalle forze del regime in ritirata che hanno opposto poca resistenza.La vendetta di Assad: quando, non se
La rapida liberazione del territorio ha dato a milioni di siriani la speranza di poter presto tornare a casa, e alcuni lo stanno già facendo. I siriani si sono emozionati nel vedere circolare i video dei prigionieri, tra cui molte donne, liberati dalle carceri del regime. Oltre 100.000 rimangono nei gulag di Assad o sono scomparsi.
Ma i siriani hanno anche paura. Temono le rappresaglie del regime contro i civili. Per rappresaglia, il regime e la Russia stanno bombardando ospedali e campi per sfollati ad Aleppo e Idlib.
I medici di un ospedale di Aleppo hanno lanciato un appello per ottenere sostegno, non essendo in grado di gestire l’afflusso di feriti.
Si dice che le milizie sciite sostenute dall’Iran stiano entrando nel Paese dall’Iraq per sostenere le forze di Assad.
I siriani temono anche ciò che potrebbe accadere in seguito. Non esiste più un’opposizione democratica organizzata all’interno del Paese – Assad si è assicurato che fosse così. Le milizie che stanno recuperando il territorio sono diverse nella loro composizione, ma includono gruppi autoritari, estremisti e in alcuni casi sostenuti dall’estero. Non rappresentano le aspirazioni rivoluzionarie dei siriani.
I ribelli che sono avanzati da Idlib si sono riuniti sotto Hayat Tahrir Al-Sham (HTS).
L’HTS è una milizia islamista autoritaria, dominante nel nord della Siria. Ha le sue radici in Al Qaeda, ma negli ultimi anni si è notevolmente moderata ed è un’organizzazione nazionalista siriana, non jihadista straniera. È l’amministrazione locale de facto di Idlib che gestisce istituzioni, servizi e assistenza umanitaria attraverso il Governo di Salvezza Siriano. Ci sono state continue e diffuse proteste popolari contro la milizia e il suo leader Mohammed al-Johani, contro i loro abusi e il loro governo autoritario.
Coloro che impugnano le armi non rappresentano le aspirazioni della maggioranza. Tuttavia, i sostenitori del regime calunniano ripetutamente tutti gli oppositori di Assad come «terroristi», utilizzando narrazioni «copia e incolla» della Guerra al Terrore, islamofobiche e sioniste per disumanizzarli, ridurre le loro diverse lotte alle loro componenti più autoritarie e legittimare la violenza del regime contro di loro.
Le minoranze in particolare sono timorose, nonostante i tentativi dell’alleanza di rassicurarle attraverso dichiarazioni che assicurano la protezione delle minoranze e invocano l’unità di tutti i siriani. L’HTS ha persino istituito una linea telefonica diretta per i cittadini di Aleppo e Idlib, affinché possano denunciare eventuali abusi o incidenti di sicurezza.
Finora le minoranze religiose non hanno subito violenze e i cristiani di Aleppo e i leader religiosi, come il vescovo Ephrem Maalouli, hanno dichiarato di essere al sicuro e che le preghiere continuano a svolgersi nelle chiese.
I curdi siriani, intanto, temono l’avanzata delle forze sostenute dalla Turchia e le minacce alla loro autonomia faticosamente conquistata, soprattutto alla luce delle preoccupazioni per il previsto ritiro americano che li lascerebbe vulnerabili e isolati. Sono già circolati video inquietanti che mostrano abusi contro le forze guidate dai curdi.
I gruppi sostenuti dalla Turchia sono impopolari tra i siriani in generale a causa della corruzione, degli abusi e delle continue lotte intestine. Lo Stato turco, un tempo considerato un alleato della rivoluzione, è ora visto con disprezzo a causa dei suoi sforzi di normalizzazione con Assad e dell’ondata di attacchi xenofobi contro i rifugiati siriani in Turchia.
Ancora una volta le narrazioni dominanti della «sinistra» cercano di negare ai siriani qualsiasi potere e di vedere tutti gli eventi attraverso una lente geopolitica immutabile. Circolano teorie cospirative su macchinazioni straniere dietro i recenti eventi. Ma gli Stati stranieri non sono interessati al rovesciamento del regime, né tanto meno all’autodeterminazione siriana.
Gli Stati Uniti, nonostante la loro retorica anti-regime, hanno fornito solo un sostegno parziale ai ribelli, sufficiente a spingere Assad al tavolo dei negoziati ma non a cambiare i rapporti di forza. L’intervento militare statunitense si è concentrato sulla sconfitta dell’ISIS, non del regime.
Israele ha un utile partner in un regime che, nonostante la sua retorica anti-israeliana, ha sempre usato le sue armi solo per schiacciare l’opposizione interna (e in molti casi la resistenza palestinese) piuttosto che per liberare il territorio siriano dall’occupazione israeliana.
Gli interessi della Turchia si concentrano sulla repressione dell’autonomia curda e sul rimpatrio dei rifugiati.
Indubbiamente, tutti questi Stati si affanneranno per influenzare il corso degli eventi, assicurandosi che i loro interessi siano protetti e che qualsiasi risultato vada a loro favore.
I siriani non si fanno illusioni: qualsiasi cosa accada dopo Assad sarà un disastro. L’intera regione è in fiamme. Ma per milioni di siriani non c’è niente di peggio di questo regime fascista genocida che ha ucciso centinaia di migliaia di persone, ha distrutto completamente il Paese, lo ha consegnato a potenze straniere, ha devastato l’economia, ha fatto fuggire metà della popolazione dalle proprie case e ora gestisce il Paese come un cartello della droga che esporta l’anfetamina Captagon.
Se il regime dovesse cadere, milioni di siriani potranno tornare a casa, consentendo la ripresa dell’attivismo civile. Se Assad cade c’è la possibilità di sperare, e la speranza è sempre stata scarsa tra i siriani.
Leila Al-Shami è coautrice di Burning Country: Syrians in Revolution and War e co-fondatrice del collettivo mediatico «From the Periphery».
#Aleppo #Assad #HayatTahrirAlSham #Israele #Siria #Turchia
L’articolo è stato pubblicato originariamente il 2 dicembre su «The New Arab», lo ripubblico qui sopra col consenso dell’autrice e traduzione mia (i link che trovate nel testo sono quelli dell’articolo originale). Gli eventi si sono svolti molto rapidamente e alcune cose possono già apparire datate (i ribelli di Aleppo sono già arrivati a Homs a questo punto), ma credo che sia ancora interessante e molto importante da leggere, se non altro per capire il sentimento delle siriane e dei siriani di fronte a quello che sta accadendo in questi giorni, alla possibile cacciata di Assad da parte di un gruppo islamista, un sentimento che a orecchi occidentali distratti o troppo impegnati ad ascoltare le sirene delle teorie cospirative o geopolitiche può apparire strano, ma che strano non è affatto.
Otto anni dopo che Aleppo è stata sottoposta a un brutale assedio per fame, bombardata dal regime di Assad, dalle bombe russe e iraniane e migliaia di abitanti sono stati massacrati o sfollati con la forza, la bandiera della Siria Libera sventola sulla cittadella.
L’avanzata dei ribelli e il conseguente sgretolamento delle forze del regime hanno colto tutti di sorpresa, cambiando rapidamente la mappa del potere nel nord della Siria, che era rimasta in gran parte congelata dopo gli accordi di condivisione del potere del 2020 tra Russia, Turchia e Iran.
In pochi giorni Aleppo e la provincia di Idlib sono passate sotto il controllo dei gruppi ribelli dominati da Hayat Tahrir Al-Sham (HTS).
Nel frattempo, l’Esercito nazionale siriano, sostenuto dalla Turchia, ha lanciato un’offensiva a Tel Rifaat e dintorni, territorio sotto il controllo delle Forze democratiche siriane a guida curda e sostenute dagli Stati Uniti.
Sono stati segnalati scontri tra le fazioni dell’opposizione e il regime nella provincia meridionale di Daraa, mentre a Suwayda, dominata dai drusi, si sono tenute manifestazioni popolari a sostegno dei siriani del nord.
I siriani all’interno del Paese e all’estero sono stati colti di sorpresa. Molti hanno festeggiato, trattenendo il fiato, senza osare sperare che questo potesse segnare la fine del regime.
Per anni Assad ha violentato, torturato, affamato, bombardato e gassato la popolazione fino a sottometterla. È stato mantenuto al potere grazie al sostegno e alle bombe straniere. Ma oggi la Russia è impantanata in Ucraina e le infrastrutture militari iraniane in Siria (compreso il suo proxy Hezbollah) sono state decimate dagli attacchi israeliani.
Negli ultimi giorni, Assad, isolato e senza dubbio in preda al panico, ha chiesto freneticamente sostegno ai suoi alleati del Golfo.
Al contrario, i ribelli, approfittando di questo momento di debolezza, sembrano più forti e uniti che mai, utilizzando nuovi armamenti per droni e catturando depositi di armi dalle forze del regime in ritirata che hanno opposto poca resistenza.La vendetta di Assad: quando, non se
La rapida liberazione del territorio ha dato a milioni di siriani la speranza di poter presto tornare a casa, e alcuni lo stanno già facendo. I siriani si sono emozionati nel vedere circolare i video dei prigionieri, tra cui molte donne, liberati dalle carceri del regime. Oltre 100.000 rimangono nei gulag di Assad o sono scomparsi.
Ma i siriani hanno anche paura. Temono le rappresaglie del regime contro i civili. Per rappresaglia, il regime e la Russia stanno bombardando ospedali e campi per sfollati ad Aleppo e Idlib.
I medici di un ospedale di Aleppo hanno lanciato un appello per ottenere sostegno, non essendo in grado di gestire l’afflusso di feriti.
Si dice che le milizie sciite sostenute dall’Iran stiano entrando nel Paese dall’Iraq per sostenere le forze di Assad.
I siriani temono anche ciò che potrebbe accadere in seguito. Non esiste più un’opposizione democratica organizzata all’interno del Paese – Assad si è assicurato che fosse così. Le milizie che stanno recuperando il territorio sono diverse nella loro composizione, ma includono gruppi autoritari, estremisti e in alcuni casi sostenuti dall’estero. Non rappresentano le aspirazioni rivoluzionarie dei siriani.
I ribelli che sono avanzati da Idlib si sono riuniti sotto Hayat Tahrir Al-Sham (HTS).
L’HTS è una milizia islamista autoritaria, dominante nel nord della Siria. Ha le sue radici in Al Qaeda, ma negli ultimi anni si è notevolmente moderata ed è un’organizzazione nazionalista siriana, non jihadista straniera. È l’amministrazione locale de facto di Idlib che gestisce istituzioni, servizi e assistenza umanitaria attraverso il Governo di Salvezza Siriano. Ci sono state continue e diffuse proteste popolari contro la milizia e il suo leader Mohammed al-Johani, contro i loro abusi e il loro governo autoritario.
Coloro che impugnano le armi non rappresentano le aspirazioni della maggioranza. Tuttavia, i sostenitori del regime calunniano ripetutamente tutti gli oppositori di Assad come «terroristi», utilizzando narrazioni «copia e incolla» della Guerra al Terrore, islamofobiche e sioniste per disumanizzarli, ridurre le loro diverse lotte alle loro componenti più autoritarie e legittimare la violenza del regime contro di loro.
Le minoranze in particolare sono timorose, nonostante i tentativi dell’alleanza di rassicurarle attraverso dichiarazioni che assicurano la protezione delle minoranze e invocano l’unità di tutti i siriani. L’HTS ha persino istituito una linea telefonica diretta per i cittadini di Aleppo e Idlib, affinché possano denunciare eventuali abusi o incidenti di sicurezza.
Finora le minoranze religiose non hanno subito violenze e i cristiani di Aleppo e i leader religiosi, come il vescovo Ephrem Maalouli, hanno dichiarato di essere al sicuro e che le preghiere continuano a svolgersi nelle chiese.
I curdi siriani, intanto, temono l’avanzata delle forze sostenute dalla Turchia e le minacce alla loro autonomia faticosamente conquistata, soprattutto alla luce delle preoccupazioni per il previsto ritiro americano che li lascerebbe vulnerabili e isolati. Sono già circolati video inquietanti che mostrano abusi contro le forze guidate dai curdi.
I gruppi sostenuti dalla Turchia sono impopolari tra i siriani in generale a causa della corruzione, degli abusi e delle continue lotte intestine. Lo Stato turco, un tempo considerato un alleato della rivoluzione, è ora visto con disprezzo a causa dei suoi sforzi di normalizzazione con Assad e dell’ondata di attacchi xenofobi contro i rifugiati siriani in Turchia.
Ancora una volta le narrazioni dominanti della «sinistra» cercano di negare ai siriani qualsiasi potere e di vedere tutti gli eventi attraverso una lente geopolitica immutabile. Circolano teorie cospirative su macchinazioni straniere dietro i recenti eventi. Ma gli Stati stranieri non sono interessati al rovesciamento del regime, né tanto meno all’autodeterminazione siriana.
Gli Stati Uniti, nonostante la loro retorica anti-regime, hanno fornito solo un sostegno parziale ai ribelli, sufficiente a spingere Assad al tavolo dei negoziati ma non a cambiare i rapporti di forza. L’intervento militare statunitense si è concentrato sulla sconfitta dell’ISIS, non del regime.
Israele ha un utile partner in un regime che, nonostante la sua retorica anti-israeliana, ha sempre usato le sue armi solo per schiacciare l’opposizione interna (e in molti casi la resistenza palestinese) piuttosto che per liberare il territorio siriano dall’occupazione israeliana.
Gli interessi della Turchia si concentrano sulla repressione dell’autonomia curda e sul rimpatrio dei rifugiati.
Indubbiamente, tutti questi Stati si affanneranno per influenzare il corso degli eventi, assicurandosi che i loro interessi siano protetti e che qualsiasi risultato vada a loro favore.
I siriani non si fanno illusioni: qualsiasi cosa accada dopo Assad sarà un disastro. L’intera regione è in fiamme. Ma per milioni di siriani non c’è niente di peggio di questo regime fascista genocida che ha ucciso centinaia di migliaia di persone, ha distrutto completamente il Paese, lo ha consegnato a potenze straniere, ha devastato l’economia, ha fatto fuggire metà della popolazione dalle proprie case e ora gestisce il Paese come un cartello della droga che esporta l’anfetamina Captagon.
Se il regime dovesse cadere, milioni di siriani potranno tornare a casa, consentendo la ripresa dell’attivismo civile. Se Assad cade c’è la possibilità di sperare, e la speranza è sempre stata scarsa tra i siriani.
Leila Al-Shami è coautrice di Burning Country: Syrians in Revolution and War e co-fondatrice del collettivo mediatico «From the Periphery».
#Aleppo #Assad #HayatTahrirAlSham #Israele #Siria #Turchia